Ciò che sappiamo
Ieri ci siamo incontrati per comprendere come creare la nuova scuola nel quartiere di San Lorenzo, a Roma.
Siamo partiti da quanto abbiamo scritto qui e discusso nei giorni passati: una scuola di quartiere che utilizza i dati e l’intelligenza artificiale (e, più in generale, il dominio della computazione) per esplorare la condizione esistenziale dell’essere umano e degli altri agenti ed entità con cui ci relazioniamo, utilizzando gli strumenti e i metodi dell’arte, per creare un percorso e una conversazione tra ricerca e didattica.
Tra poco faremo un report completo della giornata. Intanto qui c’è una piccola sintesi e visione di quelli che sono emersi come elementi fondamentali e interessanti, e su quali sono i prossimi passi. Quindi articolo breve e semplice, per partire con l’operatività.
1.
Primo elemento: una cosa che è emersa distintamente è quanto sia difficile andare oltre ciò che “sappiamo già”. Cos’è una “scuola”. Chi sono i “prof”. Chi sono gli “studenti”. Che rapporti intercorrano tra di essi, il territorio, le organizzazioni, tutto il resto.
La difficoltà inizia sin dalle parole, e dai concetti. È una sfida di portata eccezionale, e è percepibile come le conversazioni tentino costantemente di evadere i binari conosciuti, per poi tornarci senza accorgersene: dal fatto di capire per chi è la scuola (il target), il cosa (cosa si impara), il quando e il dove (dove e quando è la classe?).
Forse occorre cambiare parole? Inventarne di nuove per liberarsi dai concetti? Riscoprire etimologie dimenticate? È una questione aperta e la routine delle nostre quotidianità, e come rientrino in ciò che diciamo e facciamo senza neanche accorgercene rendono questa questione particolarmente interessante: siamo parlati, oltre che parlare; siamo pensati, oltre che pensare.
2.
Altra cosa molto interessante, connessa direttamente alla precedente, e che appena si è manifestato il desiderio di attivare una dimensione metodologica, di avere un metodo di lavoro, si è partiti da un “sondaggio”, da una indagine urbana ponendo una questione sul territorio a partire da interviste, domande o quant’altro. Quindi una modalità molto interessante, ma anche connessa in maniera molto forte, di nuovo, a una idea che, forse, potrebbe essere messa in discussione per creare la scuola che ci siamo messi in mente di creare.
Un sondaggio, da “somministrare”.
È la dimensione della terapia, invece che della cura, del “prendersi cura di”.
Si è proposto, quindi, di invertire la rotta e partire al contrario. (e, in questo senso, la metodologia potrebbe essere il primo progetto della scuola, e una interessante azione di autoformazione interconnessa, transitiva)
Come potrebbe, la scuola, porsi delle domande insieme al quartiere, per attivare la dimensione relazionale della cura?
3.
I dati, l’intelligenza artificiale e l’ubiquità (intesa non come “essere in ogni dove”, ma come condizione dell’essere umano iper-connesso, in cui sono le dimensioni stesse della località e della globalità che si compenetrano, in modo simile al concetto di multi-sited ethnography) sono tra i maggiori confini da esplorare per affrontare queste domande.
Attraverso l’arte possiamo disporre del metodo e della strategia per creare questa convergenza tra ricerca e didattica espansa.
Quando, durante l’incontro, si è arrivati alla proposta, si è partiti da un “sondaggio”: i dati come qualcosa da “contare”,c he afferiscono al dominio del calcolo.
Ciò che, oggi, si può considerare come “dato” è cambiato. (e per cui, nuovamente, ci si potrebbe chiedere se non fosse necessaria un’altra parola per descriverlo)
Oggi, il concetto di dato include altre cose: il corpo si può fare dato, la relazione, l’interazione, la comunicazione. Usando le reti digitali, le tecniche computazionali, l’intelligenza artificiale, l’analisi emozionale, l’analisi del linguaggio naturale ed altre tecniche, tutte queste entità di fanno dato.
Dati molto particolari, perché non sono dati orientati al calcolo, ad essere contati, di cui si possa fare una media o calcolare una percentuale. Sono dati caratterizzati attraverso le loro forme, interconnessioni, relazioni. Non vanno contati: vanno descritti; bisogna riconoscere quali siano le forme in essi ricorrenti; non le mediane, ma le diversità, le varietà, i flussi, i cambiamenti dinamici.
Le scienze, per come le abbiamo conosciute fino ad ora, possono pochissimo in questo senso: hanno bisogno di cose da contare, da sommare, moltiplicare.
Non sanno avere a che fare con la forma, con la relazione, con l’espressione.
Serve una nuova scienza, tramite l’arte.
4.
Siamo andati avanti così:
- attiveremo due dimensioni
- la prima per raccogliere e organizzare ciò che ci siamo detti e renderlo accessibile a noi e ad altri
- la seconda attraverso un esperimento
(Nota: tutte e due le dimensioni avverranno tramite una scrittura collettiva; col report pubblicheremo anche come partecipare a questa scrittura)
L’esperimento affronterà nel vivo la questione che ci siamo posti:
- creare un nuovo tipo di dato, con le persone (non sulle persone), di questo nuovo tipo: un dato che è forma, relazione, corpo, espressione, emozione…
- questo nuovo tipo di dato sarà il tramite con cui coinvolgere le persone; non estrarremo dati dalle persone, quindi, ma creeremo dati con loro, e li useremo in un data commons, un bene comune di dati, costruito insieme alle persone e disponibile, espressivo, comunicativo, nella società
- porteremo il data commons nel bel mezzo della società attraverso un evento, un rituale, una festa, una installazione, una performance.
In che forma?
Ancora non lo sappiamo, e questo sarà ciò su cui lavoreremo come primo atto fondativo della scuola.
Un patrono data-driven del quartiere? Una processione del bene comune di dati? Una Varia Intelligenza Artificiale, una VarIA? Una festa di paese con le luminarie data driven?
Presto lo sapremo :)
AGGIORNAMENTO: ecco qui il report del primo incontro, sotto forma del diario tenuto da Oriana: https://docs.google.com/document/d/1s_MZxc2ryKtwQ19Htjg31_FuGuGV833jXe4Tu6movbc/edit?usp=sharing
siete i benvenuti a commentare e integrare.
Qui alcune immagini dell’incontro: https://www.facebook.com/HumanEcosystems/posts/1281939408575119