Funghi
Storie di funghi e del lato oscuro della Cura
Sto leggendo The Mushroom at the End of the World. On the Possibility of Life in Capitalist Ruins, di Anna Lowenhaupt Tsing. È un libro importante. Per saperne di più vi lascio a questa recensione su Doppiozero.
Vi dico che lo sto leggendo perché, anche se ne ho capito l’importanza, non mi piace.
Capire perché non mi piace mi ha fatto capire una cosa importante su di me. Che potrebbe essere anche importante per voi.
A me i libri in cui la narrazione, scienza, ricerca, teoria, filosofia e arte si miscelano, piacciono molto.
Per esempio, quando l’ho letto, una vita fa, mi era piaciuto molto “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Robert Pirsig, e il suo stabilire ponti tra piani paralleli che corrono tra il viaggio in motocicletta, l’autobiografia che ha portato l’autore nei mondi della sofferenza mentale e alle terapie dell’elettroshock, e la teoria filosofica della Metafisica della Qualità. E non importa poi tanto se io sia d’accordo o meno con quella teoria: il risultato letterario è eccezionale. L’opera si posiziona su un altro livello: va oltre le fazioni di questa o quell’altra teoria. Sta più in alto. (O più in basso, alle fondamenta, dipende da dove cominciamo.)
Da questo punto di vista, e muovendosi in tutt’altro campo, amo molto la scrittura di Marshall McLuhan, in cui lo scritto teorico si miscela spesso al teatro, all’arte. Anche Gregory Bateson era un maestro di questo tipo di scrittura. O, in modo ancora differente, le lezioni di fisica e gli scritti autobiografici di Richard Feynman, o Gödel, Escher, Bach di Douglas Hofstadter. Questi sono solo alcuni dei miei preferiti. Tra l’altro, cito gli ultimi due tra i tanti, proprio perché non è neanche detto che condivida le loro azioni (Feynman), o le visioni riduzioniste (Hofstadter). Ma sono dei libri bellissimi e che mi hanno cambiato molto.
Pur essendo un libro molto importante, il “Fungo” di Anna Tsing mi sembra che in qualche modo ambisca ad essere come quei libri. Il linguaggio dell’etnografia, del racconto, della culutra e della critica sociale, politica, ambientale, si miscelano e si fanno capire. Forse complicando un po’ il linguaggio senza motivo o risultato al di fuori del dimostrare di saperlo fare. Ma non riesce a andare oltre.
Questo suo non arrivare ad essere un libro come quelli, per me, è ciò che mi ha permesso di capire una cosa molto importante su di me.
La Cura
Insieme a mia moglie Oriana abbiamo scritto un libro che cercava di essere un fondamento, come questi degli esempi e come il “Fungo”. Per certi versi ci siamo riusciti. Per tanti no.
I motivi per cui non ci siamo riusciti somigliano molto ai motivi per cui non mi piace il libro della Tsing.
Nota: stiamo parlando di due cose completamente differenti. Il Fungo è un best seller, tradotto in tante lingue, al centro di un dibattito internazionale sull’antropocene. Il nostro libro della Cura ha venduto poche migliaia di copie, distribuito come lo distribuisce una piccola casa editriche che non ha nemmeno avuto la forza di farlo posizionare correttamente ai librai, che lo hanno messo in mezzo ai libri di medicina alternativa, sia nelle librerie che online.
Il libro procede alternando diverse modalità: il mio punto di vista e quello di Oriana si alternano a dei capitoli teorici e agli how-to per realizzare dei workshop.
Nel concepirlo insieme ad Oriana, dalla mia parte io mi ero molto ispirato alla struttura del libro di Pirsig, soprattutto nel proporre questo alternarsi tra autobiografia e teoria/critica.
Leggendo The Mushroom at the End of the World, questi giorni, mi sono accorto di quanto possa essere sembrato pomposo e presuntuoso questo modo di fare.
Ripetutamente mi sono trovato a sperare che l’ennesimo pippone (correttissimo e importantissimo, per carità) su capitalismo e antropocene finisse il più presto possibile, per poter tornare finalemente a poter osservare la vita e la sua ricchezza.
Vite sorprendenti nelle loro stesse esistenze, inaspettate e così capaci di rivelare: dai boschi, ai mercati, alle case, ai mercanti, ai magazzini, ai ristoranti, ai collezionisti, agli operatori della finanza, e la vertigine della loro interconnessione.
E, invece, quello che trovavo erano scorci di vite inframmezate da teorizzazioni continue, come quelli che al cinema, mentre si vede il film, ti parlano nell’orecchio per proporti la loro interpretazione o per farti notare qualcosa che per loro è “importantissimo”. Queste cose si possono fare prima, dopo: il film me lo guardo felicemente anche due o più volte.
Leggendo Tsing, non ho potuto fare a meno di pensare a Iaconesi/Persico.
Mi viene da pensare a quante persone avrebbero voluto non essere interrotte dai bisbigli molesti dei capitoli teorici nel bel mezzo dello svolgersi della storia, della vita e della sua complessità, che va oltre qualsiasi teoria. Quanti volevano semplicemente sapere come stavamo in quei momenti, se avevamo paura, preoccupazione, come facevamo a continuare ad amarci oltre ogni difficoltà. Questa vita che è la cosa più preziosa che possiamo esporre, se ne siamo capaci, nelle sue emozioni e nel desiderio di ciò che è possibile.
C’è un “Ma”.
Il libro della Cura è stato il risultato di un processo molto particolare per noi.
Da un lato ne vedevamo le potenzialità. Quelle potenzialità che già lasciavano intravvedere quello che sarebbe successo dopo. La Cura è relazione. Quella relazione che, nell’epoca delle reti, è l’infrastruttura su cui si costruisce e gestisce il potere. Era la potenzialità di usare la Cura come sistema. E questo lo stiamo vedendo oggi: il termine della “cura” è entrato con forza nella comunicazione, da quella più istituzionale a quella di movimento.
Dall’altro lato c’era il terrore che io, tramite la Cura, potessi trasformarmi nel Panda del WWF.
Dell’essere bloccato nell’identità dell’Artista col Cancro. Quella che così tanti sembrano desiderosi, tutt’ora, di affibiarmi.
Del consumare sé stessi per una causa più grande.
Quando invece la realtà è, anzi, che io e Oriana abbiamo fatto cose ben più importanti della Cura. Anzi, la Cura è tra i risultati di queste cose, non l’origine.
Il mettere La Cura prima di tutto il resto, il vedere solo quello tra tutto, è l’opposto della Cura: è il supereroe, è l’icona.
Il panda che si fa icona è un messaggio terribile: è già morto ed estinto, ed esponendolo come icona ne celebriamo l’estinzione. Non serve nemmeno che avvenga fisicamente.
L’icona è così forte perché ci racconta di una cosa che è già avvenuta, anche se solo simbolicamente: il nostro stile di vita ha già ucciso il panda.
Proprio come “l’artista col cancro” è simile a quando rallentiamo per strada per vedere un’incidente che è avvenuto lungo il percorso.
In una realtà che sembra paradossale, rallentiamo per cercare di vedere se magari non fossimo noi stessi i protagonisti dell’incitente. Perché siamo tutti accidents waiting to happen.
La malattia e la morte, di solito, non hanno senso. È questa la normalità. Non capita “sempre ai migliori”, o cose del genere. Affacciandoci sull’incidente e vedendo, dopotuttto, che no, non siamo noi, possiamo continuare a vivere il nostro stile di vita così poco interessante, e che sappiamo già dove porta.
È la dinamica dell’horror, dello splatter, della pornografia, del fumetti dei supereroi: esporci all’eccezionalità che serve al nostro spirito, per sedarlo, dandogli uno sfogo. L’eccezionale non ha nulla di rivoluzionario. La rivoluzione può avvenire solo se cambia la quotidianità.
Queste di cui stiamo parlando sono energie oscure, subdole e seducenti, che erodono dentro: sono molto forti. Sono le energie oscure dello spettacolo.
La fine perfetta di queste vicende è che il panda si estingue veramente, possibilmente in diretta o in live streaming.
Nel libro della Cura, Oriana ha fatto questa considerazione quando parla di quando le Iene ci avevano proposto di fare un servizio. Abbiamo rifiutato, naturalmente, prevedendo il finale con il massimo della audience: le Iene, sbavando fameliche, sbranano in diretta il cadavere di Salvatore morto in diretta.
Embé?
Il libro della Cura iniziava dicendo “questo non è un libro”.
Fu un errore.
Oriana mi aveva timidamente detto di togliere le parti di teoria e workshop, e di metterle online
Anche se avessimo fatto così non sarebbe ancora bastato, perché, lo stesso, avremmo avuto il problema di come affrontare le energie oscure di cui ho scritto. Perché io non avevo (e non ho) la minima voglia di trasformarmi in un panda.
Ma già sarebbe stato qualcosa su cui avremmo potuto lavorare in modo diverso. Buono a sapersi.
Leggere il libro di Anna Tsing me l’ha fatto capire bene.
Doveva essere un buon libro, non un workshop o chissà cos’altro.
Per aprire uno squarcio su cosa può essere una vita o una morte.