Salvatore Iaconesi
3 min readAug 4, 2018

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Ovviamente bisogna capire di cosa si sta parlando. Se, per esempio, mi interessassi di genetica, potrei dire che il mio DNA è parte della mia esistenza, che contribuisce alla definizione di chi sono.

In questo caso il sequenziamento del mio genoma e, quindi, la lettura di cosa c’é scritto nei miei geni, richiede del lavoro e può essere messo all’opera per dirmi a che malattie sono soggetto, quali sono le mie origini, cosa è meglio che mangio per la mia salute, eccetera. In generale, il sequenziamento genera valore.

Questo valore può essere “venduto”, o “scambiato”, o “messo sul mercato”, o “pubblicato”?

Ci sono diverse opinioni a riguardo, dalle più liberali alle più restrittive. Secondo le prime è una cosa da fare assolutamente, perché è tra le chiavi di volta che ci permetteranno di sconfiggere malattie, avere a che fare con l’invecchiamento eccetera. Secondo le seconde sarebbe meglio di no, fondamentalmente a causa delle implicazioni di queste “vendite”, perché vorrebbero dire controllo, diritti e libertà infrante, e la vita umana verrebbe definitivamente finanziarizzata.

Ovviamente tra le due estremità ci sono innumerevoli posizioni intermedie.

Per esempio, tra le tantissime, ci sono le posizioni peer-to-peer, secondo cui i sistemi p2p possono garantire la creazione di ambienti in cui tutti possono decidere per sé, e il sistema complessivo tutela questa libertà: io potrei decidere di rendere accessibile il mio genoma per la ricerca sul cancro, tu solo al tuo medico curante, e il sistema complessivo delle nostre interazioni peer-to-peer garantisce che ognuno di noi possa esprimere ed attuare questa decisione.

Ora: i dati sono molto simili, per ruolo e forme, al DNA. In un certo senso i dati che produciamo sono un altro nostro DNA: contribuiscono a descrivere chi siamo.

E, infatti, anche per i dati esistono posizioni analoghe: liberiste, progressiste, conservatrici, peer-to-peer eccetera.

Quale è “meglio”? Come dicevamo più su: dipende da che cosa “serve” e di cosa si sta parlando.

Io, personalmente, adotto la soluzione dei commons.

Nella sua definizione dei commons con cui ha vinto il premio Nobel, Elinor Ostrom, il commons è composto da 3 elementi:

  • la risorsa (il pascolo, l’acqua, i dati…)
  • l’ecosistema relazionale ad alta qualità (l’insieme delle relazioni dei soggetti che hanno a che fare con la risorsa, e che questo insieme e sistema sia di buona qualità)
  • e il fatto che l’ecosistema relazionale ad alta qualità si riunisca per concordare delle pratiche e delle regole

Quindi, è molto ingenuo interpretare il concetto del “bene comune” solo nei termini della risorsa da cui è composto: servono tutte e tre le componenti.

Gli Open Data non servono a nulla se non c’è un ecosistema relazionale che li usa, cura, protegge, decide insieme come si possono e non possono usare, come generano valore eccetera.

Cosa c’entra questo per i nostri dati, quelli di cui parlavamo più su?

C’entra perché potremmo dire che sono “lavoro” (nel senso economico ma anche fisico, che poi sono la stessa cosa: uno scambio di energie tra sistemi, derivante da una forza per uno spostamento. In fisica vuol dire che applico una forza e il mattone si sposta, generando uno scambio di energia [es: cinetica← →calore]. In economia vuol dire che sposto gli scatoloni nel magazzino e poi tu mi paghi [cinetica← →soldi]).

Faremmo un errore nel dirlo?

Dipende cosa guardi e cosa vuoi fare.

Ciò che sostengo è che dirlo (ovvero analizzare tutta questa situazione dall’ottica del lavoro) non porta al cambiamento che ci serve ottenere.

Sono convinto che ci serva un cambiamento esistenziale, non una nuova pezza per rendere il lavoro più giusto, equo e rispettoso dei diritti dell’essere umano.

Ci troviamo in un punto di svolta, in cui la digitalità ha messo rapidamente in discussione certezze che duravano da millenni, in cui c’è il cambiamento climatico in atto, in cui ci sono le migrazioni, in cui c’è la questione energetica.

Abbiamo fatto tante cose ottime, come esseri umani, per noi, come individui: siamo mediamente più ricchi, più in salute, viviamo di più.

Ma per quanto riguarda i sistemi più grandi di noi non siamo stati molto bravi.

Ambiente, energia, clima, cibo, società, solidarietà: se questi fossero il metro per vedere come ce la stiamo cavando, beh, i risultati sarebbero ben più deprimenti.

Questi elementi, oltretutto, sono proprio quelli che determinano che mondo lasceremo dietro di noi, per gli altri, se li esporremo a malattie, guerre, difficoltà, povertà, dolore.

Se ci mettessimo in testa di affrontare queste questioni, invece che quelle individuali e basta, ci accorgeremmo facilmente che il discorso del lavoro, tra le altre cose, è del tutto insufficiente.

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Salvatore Iaconesi
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