Una Scuola Esistenziale

A San Lorenzo, a Roma, nasce la prima scuola che usa Intelligenza Artificiale, Dati e tecnologie per esplorare la condizione esistenziale degli esseri umani.

Salvatore Iaconesi
11 min readMay 5, 2018

Capitolo Primo: il futuro-presente delle scuole

Nella prima metà del 2014, l’università dove insegnavamo — ISIA a Firenze — stava passando un brutto momento. In quell’occasione abbiamo reagito insieme agli studenti, immaginando un nuovo tipo di “scuola”.

Abbiamo avviato un processo di riflessione che si chiamava “the Future of Education”, ci siamo organizzati e abbiamo iniziato a cercare di capire quali potessero essere nuovi modelli di formazione, di organizzazione e di sostenibilità per una scuola del genere.

Nel farlo abbiamo coinvolto tantissime persone, da tutto il mondo.

Poi ISIA s’è ripresa (per fortuna!), l’emergenza è rientrata e, quindi, studenti e professori hanno riabbracciato la routine quotidiana e della rivoluzione del sistema educativo non se n’è più parlato (se non in qualche meravigliosa tesi di laurea e in alcune cose che per fortuna continuano ad esistere).

Subito dopo, sempre nel 2014, nasceva a Bari SOS, la Scuola Open Source, una scuola rivoluzionaria, costruita fin nei minimi dettagli attraverso percorsi di co-progettazione, con la filosofia dell’Open Source: un prodotto mai finito, un’opera aperta e costantemente rielaborata. Eravamo (e siamo tutt’ora) molto felici della sua nascita: un modello per un nuovo tipo di istituzione.

“Code is law”, diceva qualcuno, e tutte e due le proposte — quella della Knowpen, la fondazione (poi mai realizzata) che doveva sorgere dal processo fiorentino del “Future of Education”, e SOS — fondavano e fondano molte delle loro visioni su modelli organizzativi che fanno largo uso di software open source per la gestione, per la sostenibilità e per la creazione di nuove valute digitali da utilizzare nella promozione e conduzione di nuove economie.

Nel bel mezzo dell’era (seppur con “era” ormai si indicano usualmente durate di pochi anni) dei dati e dell’intelligenza artificiale, il software diventa il luogo, lo spazio, il tempo e la relazione in cui riappropriarsi della vita e delle interconnessioni, delle pratiche e degli strumenti, delle possibilità e delle opportunità.

Nel mezzo, prima e dopo di questi due eventi (che menziono così dettagliatamente perché mi sono cari, avendoli vissuti personalmente), ci sono state e ci saranno tante cose.

Le innovazioni della scuola — di cosa si intenda per scuola — vengono da lontano.

Il primo processo di apprendimento a distanza fu ufficialmente istituito negli Stati Uniti nel 1874 alla Illinois Wesleyan University. Articoli visionari come “As we may think” del 1945 immaginavano il ruolo dei tablet e delle pubblicazioni digitali nella scuola. Nel 1953 l’Università di Huston sperimentò il primo broadcast televisivo delle lezioni. Nel 1963 Ivan Sutherland inventava Sketchpad, la prima vera interfaccia utente con impostazione grafica, e immediatamente questa innovazione portava forti mutazioni ai sistemi dell’istruzione: il codice entrava prepotentemente nella vita della scuola, sia sotto forma di competenza da imparare, sia sotto forma di “ambiente”, dei gestionali che in tantissime forme davano forma all’esperienza stessa della scuola, a come era gestita, a come era possibile collaborare e lavorare insieme.

Sistemi come Moodle non sono solo utili: sono filosofie applicate, performative, e creano uno spazio di relazione e pensiero.

Nel 1989 questo concetto trova il suo apice nel documento condiviso al CERN da Tim Berners-Lee: “Information Management, A Proposal” apriva le porte del web, dei documenti iper-connessi tra loro e, con una reazione a catena di cui solo oggi stiamo percependo la portata, la mutazione radicale dei nostri modelli di attenzione, apprendimento, collaborazione, comunicazione e relazione.

La “classe” continua ad evolvere: la flipped classroom; il tentativo di istruzione basata sulle passioni e sulla disponibilità e accessibilità di saperi e strumenti dei Fablab; l’Antidisciplina di Joy Ito; e tanti altri.

Quello che, oggi, possiamo chiamare “classe”, “scuola” e, in generale, “istituzione dell’istruzione” cambia continuamente.

Capitolo secondo: una condizione esistenziale

In tutto questo cambiamento, un elemento rimane costante: la scuola rispecchia fedelmente, attraverso le sue stasi, le sue mutazioni e le tensioni dalle une alle altre, il cambiamento esistenziale dell’essere umano.

Questo è vero sia localmente che osservando i fenomeni nella loro globalità. Comprendere la differenza di cosa si chiama “scuola” nelle varie parti del mondo, nelle varie parti della città, nello scorrere del tempo e delle condizioni economiche, politiche e delle libertà e diritti delle persone, vuol dire disegnare una mappa complessa del pianeta, in cui il locale consente di capire il globale e viceversa, in quel doppio loop di feedback che è proprio della globalità iperconnessa.

La scuola è attraversata dalle tensioni della psicologia, della società, della politica, della sessualità, dell’economia, dell’ambiente. E, a sua volta, le attraversa attraverso i programmi ministeriali, le lotte studentesche, le azioni e approcci dei singoli docenti, le rivendicazioni sindacali, le peripezie delle amministrazioni e delle burocrazie, le azioni dei movimenti, le condizioni delle mense scolastiche.

E, soprattutto, soprattutto oggi, attraverso l’iper-connessione.

Ubiquità: da per tutto. Stato di ciò che è per tutto nello stesso tempo.

Ubiquità: è la condizione dell’essere umano, oggi.

Dell’essere umano, in buona compagnia: con tutti gli oggetti, gli ambienti, gli edifici, le automobili, i corpi e le menti messi e connessi in rete.

L’essere umano, oggi, e le sue società, sono ubiqui.

Il che non vuol dire che possono usare un teletrasporto o qualche altra diavoleria per essere rapidamente a Tokyo o a New York.

Vuol dire che la condizione umana, adesso, è intrinsecamente iper-connessa.

Citando liberamente Massimo Canevacci — che negli anni ci ha reso molto sensibili a questi concetti –: “Per poter comprendere ciò che avviene nel villaggio dei Bororo, devo comprendere ciò che avviene nella metropoli. Per comprendere ciò che avviene nella metropoli, devo comprendere ciò che avviene nel villaggio dei Bororo.” È il concetto della multi-sited ethnography di George Marcus: un modo di esaminare i processi globali nella progressiva condizione di interconnessione di luoghi e persone con i processi di globalizzazione.

Questa condizione ha implicazioni fortissime ai livelli psicologico, relazionale, sociale, economico, finanziario, politico, e determina in larga parte la dotazione di diritti, libertà e opportunità che abbiamo a disposizione per imparare, comunicare, lavorare, esistere in pace con gli altri abitanti del pianeta, nel rispetto dell’ambiente.

Siamo ubiqui: noi e le cose e gli ambienti che ci circondano. I nostri corpi sono diventati altro: la dimensione della carne e del sangue si affianca a quella dei dati, dispersi sulla rete, nei cloud, nei data center, e capaci di portare manifestazioni di noi stessi attraverso il globo, in maniera ricombinante, riassemblata computazionalmente.

Questo fatto sconvolge, ovviamente, la gestione del potere a livello globale.

Perché se la vita, per noi, fatti di carne e sangue, esiste ancora principalmente nell’ambito del confine della nostra carne e del nostro sangue (e ce ne accorgiamo perfettamente, senza bisogno di ulteriori spiegazioni, quando il nostro corpo si perfora, si rompe, si spezza, muore e, in generale, sente), il mondo (e il nostro corpo insieme a lui) vive anche su tanti altri piani interconnessi: quelli dei dati, delle loro elaborazioni, e delle decisioni e modifiche dell’ambiente che vengono attuate attraverso di essi.

Guardare una mappa digitale, per esempio una di quelle che vediamo sui social network o che utilizziamo con i navigatori, vuol dire avere una esperienza complessa del mondo, che è solo in parte fisica: informazioni, dimensioni economiche e finanziarie (ad esempio gli accordi commerciali), politiche (ad esempio quelle derivate dai regolamenti sulla privacy) e computazionali (ad esempio quelle secondo cui gli algoritmi scelgono di mostrarci quello che “pensano” che sia più rilevante per noi) modificano il territorio.

Sorgono innumerevoli governi di tipo nuovo, che gestiscono territori, relazioni, comunicazioni, libertà e diritti in modo completamente nuovo, usando i dati e le dimensioni della computazione algoritmica.

Siamo esseri umani ubiqui e computazionali, immersi in una nuova cosmologia. O, almeno, se non proprio computazionali, esseri umani per cui le dimensioni computazionali della gestione del potere influiscono in maniera sostanziale nella determinazione delle libertà di espressione, comunicazione, relazione, spostamento, lavoro, tempo libero.

Capitolo terzo: il lavoro

In questa dimensione, il significato della parola “lavoro” cambia radicalmente.

Lavoro: etimologicamente allude alla fatica, all’operare faticando. Vale nel diritto, addirittura costituzionalmente, per cui il lavoro è un diritto e un dovere, e il modo di partecipare produttivamente e utilmente alla società. In economia, per cui si intende qualsiasi attività umana volta alla produzione di beni e servizi destinati a essere venduti o erogati sul mercato. Nella fisica, in cui il lavoro è il risultato della forza applicato ad un punto.

Diverso dall’occupazione, che si riferisce, letteralmente allo svuotare uno spazio di tempo, o di spazio o di possibilità. Vale nel diritto, nelle discipline militari, e nel quotidiano, alludendo ad ogni lavoro, attività, faccenda che tenga occupati, in cui s’impieghi il proprio tempo e, in particolare, all’occupazione nel senso del posto di lavoro.

Quindi, da una parte, uno sforzo applicato e l’effetto che ha sul mondo. Dall’altra parte uno svuotamento di tempo e spazio.

I modelli di scuola sono molto legati con la concezione del lavoro, dell’occupazione e con la comprensione della dimensione esistenziale. Fin dai tempi delle prime scuole, egizie, mesopotamiche, ebraiche, greche, la scuola era sia il luogo dove apprendere competenza (ad esempio gli scribi, oppure per le arti della guerra) sia quello in cui esplorare lo spirito e il significato della vita umana, magari attraverso le religioni e la filosofia.

https://youtu.be/XMEBZGLSdy0

La tecnologia progredisce e, conseguentemente, progredisce il modo in cui tecnica e tecnologia diventano fenomeni totalizzanti, capaci progressivamente di assorbire tutto il resto della vita umana (si veda il video di Aldo Masullo qui sopra).

Uno degli effetti di questo scenario è il progressivo offuscarsi della differenza tra lavoro e tempo libero, e lo scomparire progressivo del tempo dedicato al riposo, all’ozio, all’inutilità.

L’umanità si trova progressivamente sempre al lavoro, sveglia, produttiva.

L’attenzione, le relazioni, le passioni, la creatività e le espressioni vengono colonizzate e diventano dati e, quindi, profitti.

Ogni istanza tende al dominio del calcolo, della computazione. I sistemi informatici hanno affordance precise e non sono neutrali: nel rendere tutto progressivamente misurabile preparano una società (e una socialità, relazionalità, creatività, espressività) capace di “contare” e “misurare” tutto.

Se la rete (e i sistemi che vi orbitano) hanno un carattere rivelatore delle mutazioni del mondo, questa relazione non è monodirezionale e, quindi, è altrettanto vero che la trasformazione della società rivela quanto tecnologie e reti (e gli operatori che le gestiscono) spingano in direzioni precise.

La direzione del lavoro continuo, e della “fine del tempo libero”.

Capitolo quarto: l’ozio

Scuola.

Dal greco: Scholè, ozio, riposo, agio. Trattenersi in un tempo libero da faccende.

L’opposto di lavoro e occupazione.

Stare in ozio. Riposarsi. Avere tempo di occuparsi di una cosa per divertimento. Riposarsi dalla fatica per la ricreazione mentale e lo studio.

Negli stabilimenti termali lo spazio attorno alla vasca si chiamava “schola labri” (labri = vasca), dove i bagnanti stavano seduti aspettando che venisse il loro turno.

Come siamo arrivati alla visione della scuola di oggi? Perché? Questa è una domanda che possiamo iniziare a porci.

Capitolo quinto: commuoversi

Il modello della scuola competitivo, faticoso, orientato al lavoro e all’occupazione può essere ripensato.

Con la rete emergono forme diverse di conoscenza, comprensione, comunicazione, attenzione e apprendimento.

A iniziare dall’ipertesto — il testo iperconnesso — la conoscenza appare finalmente per quello che è: non una entità monolitica, lineare e semplice, ma una multipla, reticolare, ricombinante, variabile, complessa. È sempre stata così, ovviamente, e la rete e le tecnologie sociali la espongono e la rendono agibile in questo senso.

Come dicevamo, questo livello rivelatore non è monodirezionale. Quindi, mentre iniziamo finalmente a capire che la linearità non è necessariamente la modalità più fertile per saperi, informazione e comunicazione, questa rivelazione ci cambia, e cambia i modi in cui abbiamo opportunità di agire nel mondo e di percepirlo.

Diventiamo surfisti, di qualsiasi cosa: di link, relazioni, connessioni, sorgenti di informazione, persone, luoghi, lavori.

Il surf si fa sulla superficie. E, quindi, iniziamo ad avere problemi con la “profondità”. Il cambiamento dell’infosfera (e di come la percepiamo) diventa trasformazione della conoscenza (e di come la conosciamo).

In questo cambiamento hanno senso solo le modalità della collaborazione.

Nel modello reticolare, la mia “superficie” può essere la “profondità” di qualcun altro. Io posso essere il link mancante per la conoscenza di qualcuno. Il modello reticolare funziona egregiamente, solo se immerso in un ambiente di apertura, disponibilità, accessibilità, collaborazione, socialità, solidarietà, dolcezza, eros.

Ogni cosa nella scuola (e di conseguenza nel lavoro) è orientata in senso contrario: voti, esami, colloqui/interrogazioni, l’individuo, la competizione, gli hackathon, i grant, eccetera. Tutto orientato alla competizione, di competitività, di skill e competenze per, appunto, competere.

Tutto si orienta in modo completamente inadatto per operare nel mondo che ci circonda: invece che stutturarsi per valutare come le persone riescano ad auto-organizzarsi in gruppi per affrontare le sfide e per prendersi carico come collettività della collaborazione di tutti, di come affrontare la diversità e il conflitto, i voti sono per una persona sola; si insegna a essere competitivi; si ragiona in maniera lineare e ingenuamente soluzionista; ci si limita a skill e competenze; si educa all’user farming, allo sfruttamento dei dati e delle espressioni delle persone.

E tutto questo avviene in condizioni di assenza di trasparenza e di apertura delle piattaforme.

Se Google, Facebook, Twitter e le altre piattaforme offrono strumenti straordinari per la collaborazione e l’istruzione, è altrettanto vero che la dimensione di chiusura e opacità (algoritmi, dati) e di colonizzazione mentale (sul modello dell’innovazione che propongono) sono quanto di più lontano è possibile immaginare da qualcosa che sia in grado di contribuire alle libertà e ai diritti delle persone e, quindi, alla loro possibilità di conoscere il mondo (un mondo che potrebbe anche essere differente da ciò che suggerisce la piattaforma X) e di viverci insieme agli altri.

Una colonizzazione, questa, che sta portando alla difficoltà estrema (se non all’impossibilità) della creazione di narrazioni collettive di nuovo genere. Nell’era della coda lunga i grandi operatori globali hanno ormai imparato nuove forme di governo che non ambiscono al consenso, bensì allo stabilire relazioni erotiche con miriadi di nicchie, basate sul desiderio e sulla creazione e soddisfazione di sequenze infinite di desiderio/soddisfazione.

Pasolini diceva che le istituzioni hanno un grande potere: sono commoventi.

Commuoversi. Com-muoversi: muoversi insieme.

Il che non vuol dire “essere d’accordo”. E non allude al “consenso”. Ci si riferisce alla possibilità di creare una narrazione da un movimento collettivo, molteplice, differente, che porti alla conoscenza.

Capitolo sesto: un inizio

Una scuola commovente.

Dal festival di quartiere HER She Loves San Lorenzo e dal recente incontro al Palazzo delle Esposizioni abbiamo deciso di creare una scuola.

Una scuola ubiqua.

Una scuola esistenziale.

Una scuola curiosa.

Una scuola errante.

Una scuola che sia capace di accogliere gli elementi caratterizzanti di questo tempo (le dimensioni finanziarie, i dati, l’intelligenza artificiale e gli algoritmi) e di usarli per aprire la comprensione, collettiva e commovente, della condizione esistenziale dell’essere umano e dell’ambiente che abitiamo, tra entità digitali, organiche, minerali, concettuali, finanziarie e altre.

Una scuola capace di coinvolgere e commuovere le persone, di tutti i tipi.

Inizieremo dal quartiere di San Lorenzo, a Roma.

Il quartiere è pieno di persone, commercianti, aziende, scuole, università, gallerie d’arte, pub, centri sociali, palestre, angoli della strada e tante altre persone, cose e situazioni.

Il 6 Maggio 2018, ci incontreremo a ESC Atelier, in via dei Volsci 159, alle 17:30 per aprire le danze: per iniziare a comprendere come faremo, tutti insieme, questa scuola.

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